Sentenze in tema di pubblico impiego – Assunzioni a termine e part time.

Sentenze in tema di pubblico impiego – Assunzioni a termine e part time.

Assunzioni a termine e part time.
“In tema di assunzioni a termine il datore di lavoro ha l’onere di specificare, in un apposito atto scritto, le ragioni oggettive, ossia le esigenze di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che giustificano l’apposizione del termine finale, ne consegue che compete al giudice di merito accertare l’esistenza di dette ragioni”. Cass. Lavoro sent. 13602/2017.
“Ripetuto è quindi il principio affermato dalla giurisprudenza secondo cui nel pubblico impiego un rapporto di lavoro a tempo determinato in violazione di legge non è suscettibile di conversione in rapporto a tempo indeterminato, stante il divieto posto dall’art. 36 d.lgs. n. 165 del 2001, il cui disposto non è stato modificato dal d.lgs. n. 368 del 2001, contenente la regolamentazione dell’intera disciplina del lavoro a tempo determinato; ne consegue che, in caso di violazione delle norma poste a tutela dei diritti del lavoratore, in capo a questo ultimo, essendo preclusa la conversione del rapporto, sussiste solo il diritto al risarcimento dei danni subiti. ….i contratti di lavoro a tempo determinato, posti in essere in violazione della medesima disposizione, sono nulli e determinano responsabilità erariale; ed hanno poi confermato la responsabilità dei dirigenti che operano in violazione delle disposizioni di legge aggiungendo che al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato.” Cass. Sez. Unite sent. 5072/2016.
“Il quadro desumibile dalle decisioni della Corte (U.E.) è sintetizzabile nel principio per il quale nell’ipotesi in cui il diritto dell’Unione non prevede sanzioni specifiche, come nel caso dell’accordo quadro (sui contratti a termine), e siano accertati abusi, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo, per garantire la piena efficacia delle norme adottate in applicazione dell’Accordo quadro. La misura sanzionatoria deve, infatti, presentare garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente l’uso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.” E, proseguono gli Ermellini, tali misure sanzionatorie non possono però mai comportare la conversione dei rapporti a termine in rapporti a tempo indeterminato perché: “il concorso pubblico costituisce la modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni. L’eccezionale possibilità di derogare per legge al principio del concorso per il reclutamento del personale, che è prevista dall’art. 97 Cost. comma 4, è ammessa nei soli casi in cui sia maggiormente funzionale al buon andamento dell’amministrazione e corrispondente a straordinarie esigenze di interesse pubblico, individuate dal legislatore in base ad una valutazione discrezionale, effettuata nei limiti della non manifesta irragionevolezza”. Cass. Lavoro sent. 27564/2016.
“Nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art. 36 comma 5 d.lgs 30 marzo 2001 n. 165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui all’art. 32 comma 5 legge 4 novembre 2010 n. 183, e quindi nella misura pari ad una indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966 n. 604”. Corte di Cassazione Sezioni Unite sentt. nn 4911, 4912, 4913 del 2016: principio di diritto in tema di contratto a termine
“La disciplina del reclutamento del personale a termine del settore scolastico, contenuta nel d.lgs. n. 297 del 1994, non è stata abrogata dal d.lgs. n. 368 del 2001, essendosene stata disposta la salvezza dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 70 comma 8, che ad essa attribuisce un connotato di specialità”. Cass. Lavoro sent. 22193/2017.
“Nel settore scolastico, la clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito nella direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l’anzianità di servizio maturata al personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini dell’attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai ccnl succedutisi nel tempo, sicché vanno disapplicate le disposizioni dei richiamati ccnl che, prescindendo dalla anzianità maturata, commisurano in ogni caso l’anzianità degli assunti a tempo determinato al trattamento economico iniziale previsto per i dipendenti a tempo indeterminato”. Cass. Lavoro sent. n. 22962/2017.
Nella ordinanza, di seguito, in parte, riportata, i giudici della Corte stabiliscono che la causa sottoposta alla loro decisione, va risolta in conformità con quanto stabilito in una precedente sentenza della Corte stessa, la n. 24647/2015, a cui intendono dare continuità: “In tale pronuncia, la Corte, sul presupposto dell’avvenuta corretta applicazione, da parte della Corte di appello dei principi contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea n. 395 del 10 giugno 2010, emessa nelle cause riunite C-395/08 e C-396108, ha osservato quanto segue:
“Il D.lgs. del 25 febbraio 2000, n. 61, attuativo della Direttiva 97/81 CE relativa all’accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, definisce al secondo comma, lett. d), dell’art. 1 la nozione del rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale come quello in relazione al quale risulti previsto che l’attività lavorativa sia svolta a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno.
Inoltre, l’art. 4 dello stesso decreto legislativo contempla il principio di non discriminazione, stabilendo che il lavoratore a tempo parziale non deve ricevere un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno comparabile, intendendosi per tale quello inquadrato nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dai contratti collettivi di cui all’art. 1, comma 3, per il solo motivo di lavorare a tempo parziale. In tale sentenza si è ribadito che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro prevede che, per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale non debbano essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, a meno che un trattamento differente sia giustificato da ragioni obiettive. Il divieto di discriminazione sancito da tale disposizione altro non è che l’espressione specifica del principio generale di uguaglianza, che rappresenta uno dei principi fondamentali del diritto dell’Unione. Il lavoro a tempo parziale non implica un’interruzione dell’impiego. In definitiva, dalla sentenza della Corte di Giustizia Europea emerge chiaramente che l’anzianità che qui interessa corrisponde alla durata effettiva del rapporto di lavoro e non alla quantità di lavoro fornita nel corso della relazione stessa. Il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno implica, quindi, che l’anzianità contributiva utile ai fini della determinazione della data di acquisizione del diritto alla pensione sia calcolata per il lavoratore a tempo parziale come se egli avesse occupato un posto a tempo pieno, prendendo integralmente in considerazione anche i periodi non lavorati. In effetti, il punto 1) del dispositivo della citata sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea statuisce quanto segue: “La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale allegato alla direttiva del Consiglio 15 dicembre 1997, 97/81/CE, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, dev’essere interpretata, con riferimento alle pensioni, nel senso che osta a una normativa nazionale la quale, per i lavoratori a tempo parziale di tipo verticale ciclico, escluda i periodi non lavorati dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per acquisire il diritto alla pensione, salvo che una tale differenza di trattamento sia giustificata da ragioni obiettive”. Cass. Lavoro ordin. 4968/2017.
“L’art. 1, comma 185, L. n. 662/1996, per quanto qui interessa, dispone quanto segue: “Con effetto dalla data del 30 settembre 1996, al fine di incentivare l’assunzione di nuovo personale, ai lavoratori in possesso dei requisiti di età e di contribuzione per l’accesso al pensionamento di anzianità […] può essere riconosciuto il trattamento di pensione di anzianità e, in deroga al regime di non cumulabilità di cui al comma 189, il passaggio al rapporto di lavoro a tempo parziale in misura non inferiore a 18 ore settimanali. […] ai lavoratori che si avvalgono della predetta facoltà […] l’importo della pensione è ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell’orario normale di lavoro, riduzione comunque non superiore al 50 per cento. La somma della pensione e della retribuzione non può in ogni caso superare l’ammontare della retribuzione spettante al lavoratore che, a parità di altre condizioni, presta la sua opera a tempo pieno”.
…il limite della riduzione stabilita nel comma 185 va riferito all’orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, che appunto non può essere inferiore al 50% dell’orario normale di lavoro, e non all’importo della pensione da liquidare, onde va affermata la legittimità della riduzione del trattamento di pensione di anzianità in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell’orario normale di lavoro prescelta dal lavoratore, pur se ne sia derivato un importo inferiore al 50% di quello complessivamente maturato, … è proprio l’interpretazione letterale del testo a suggerire tale conclusione, dal momento che, nel comma 185, la locuzione “riduzione comunque non superiore al 50 per cento” segue immediatamente quella secondo cui “l’importo della pensione è ridotto in misura inversamente proporzionale alla riduzione dell’orario normale di lavoro” e dunque va grammaticalmente riferita all’espressione più prossima, costituita appunto dalla riduzione dell’orario di lavoro.” Cass. Lavoro sent. 23437/2016.

2022-06-02T14:38:26+02:00
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