Eccesso di lavoro straordinario – Risarcimento del danno – Cassazione e giurisprudenza di merito

Eccesso di lavoro straordinario – Risarcimento del danno – Cassazione e giurisprudenza di merito

Si parla di lavoro straordinario  relativamente alle ore di attività svolta oltre il normale orario di lavoro: le ore di lavoro sono dunque considerate straordinarie se eccedono le 40 ore settimanali, o se eccedono il minor numero di ore settimanali previsto dal contratto collettivo applicato.

Il ricorso al lavoro straordinario deve essere contenuto, ed è indispensabile rispettare, oltre ai riposi giornalieri e settimanali, ulteriori limiti stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi.

L’art.4 Dlgs n.66/2003 dispone:

1. I contratti collettivi di lavoro stabiliscono la durata massima settimanale dell’orario di lavoro.

  1. La durata media dell’orario di lavoro non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto   ore, comprese   le   ore   di   lavoro  
  2. Ai fini della disposizione di cui al comma 2, la durata media dell’orario di lavoro deve essere calcolata con   riferimento   a   un   periodo   non   superiore   a   quattro
  3. I contratti collettivi di lavoro possono in ogni caso elevare il limite di cui al comma 3 fino a sei mesi ovvero fino a dodici mesi a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate negli stessi contratti collettivi”.

Limiti al lavoro straordinario

Il ricorso al lavoro straordinario deve essere limitato. In particolare:

  • la durata media dell’orario di lavoro, per ogni periodo di 7 giorni, non può in ogni caso superare 48 ore, comprese le ore di lavoro straordinario;
  • la durata media dell’orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a 4 mesi;
  • la durata media dell’orario di lavoro può essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a 6 mesi, se previsto dal contratto collettivo di lavoro;
  • la durata media dell’orario di lavoro può essere calcolata con riferimento a un periodo non superiore a 12 mesi, se previsto dal contratto collettivo di lavoro a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro, specificate nello stesso accordo collettivo;
  • se il contratto collettivo stabilisce un limite alle ore di lavoro straordinario, le parti devono inoltre attenersi a quanto in esso previsto;
  • se il contratto collettivo non stabilisce un limite alle ore di lavoro straordinario, previo accordo tra datore e lavoratore, il limite massimo non può superare la misura di 250 ore all’anno.

La prestazione lavorativa straordinaria che supera in maniera significativa ed importante i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per un lungo arco temporale, è idonea a procurare al lavoratore un danno da usura psico-fisica, di natura non patrimoniale e che consiste nella lesione dell’integrità i cui elementi sintomatici si traducono in forte stress, stanchezza, calo di concentrazione e produttività.

La sussistenza di questo danno deve ritenersi presunta perché qualificabile come lesione del diritto costituzionale alla salute, di cui all’art. 36 Cost., mentre ai fini della determinazione del quantum, ossia del suo concreto ammontare, occorre tenere conto della gravità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento in oggetto.

La Cassazione, precisa, che il maggior numero di ore straordinarie è suscettibile di evidenziare “abnormità” della prestazione eseguita e di compromettere l’integrità psico-fisica e la vita di relazione del lavoratore, anche in difetto di allegazione e prova, quando, come nel caso di specie, siano stati prospettati i dal ricorrente nei gradi di merito sia il numero delle ore straordinarie svolte che il periodo di riferimento.
Ancora la Suprema Corte ha chiarito che “in tema di orario di lavoro, la prestazione lavorativa “eccedente”, che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura psico-fisica, dovendo escludersi che la mera disponibilità alla prestazione lavorativa straordinaria possa integrare un “concorso colposo”, poiché, a fronte di un obbligo ex art. 2087 c.c. per il datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, la volontarietà di quest’ultimo, ravvisabile nella predetta disponibilità, non può connettersi causalmente all’evento, rappresentando una esposizione a rischio non idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante”. (Cassazione civile, Sez. Lavoro, ordinanza n. 12538 del 10 maggio 2019).

Cois’ il Tribunale di Napoli : Il danno da stress, o usura psicofisica, si inscrive nella categoria
unitaria del danno non patrimoniale causato da inadempimento contrattuale e, in linea generale, la
sua risarcibilità presuppone la sussistenza di un pregiudizio concreto sofferto dal titolare
dell’interesse leso, sul quale grava l’onere della relativa allegazione e prova, anche attraverso
presunzioni semplici.
In fattispecie similari la giurisprudenza di legittimità ha distinto il danno da “usura psico-fisica”,
(conseguente alla mancata fruizione del riposo ) , dall’ulteriore danno alla salute o danno biologico,
che si concretizza, invece, in una “infermità” del lavoratore determinata dall’attività lavorativa
usurante svolta in conseguenza di una continua attività lavorativa non seguita dai riposi settimanali
e che nella prima ipotesi, a differenza che nella seconda ipotesi, il danno sull'”an” deve ritenersi
presunto (così anche Sez. L, Sentenza n. 2455 del 04/03/2000, Rv.534580) trovando diretta
copertura costituzionale nell’art. 36 Cost., sicchè la lesione dell’interesse espone direttamente il
datore al risarcimento del danno non patrimoniale.
Ai fini della determinazione occorre tenere conto della gravità della prestazione e delle indicazioni
della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento “de qua” (in termini Cass. 14.7.2015 n.
14710; Cass. 23.5.2014 n. 11581). Gli insegnamenti della Suprema Corte ammettono l’esistenza di
un danno da usura psico fisica in re ipsa, tuttavia richiedono la sussistenza di due presupposti: il
superamento dei limiti previsti dalla contrattazione collettiva, superamento che, tuttavia, viene
definito con l’espressione “di gran lunga” di talchè deve essere di una certa entità e la reiterazione
per “diversi anni”.

2024-03-22T10:26:55+01:00
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